Tout ce qu’il faut, la nuova personale di Lorenza Mignoli [L’INTERVISTA]

30 marzo, 2016

Inaugura sabato 2 alle 17 la nuova mostra personale di Lorenza Mignoli, curata da Cristiano Galassi. La mostra sarà aperta per due weekend in Sala Rosa, la stessa sede che ha ospitato l’anno scorso il grandissimo successo della stessa artista, Guarda come Son’Ocarina!.

Guarda come Son’Ocarina ha segnato una svolta nel percorso di Lorenza che nel 2015 ha deciso di ridimensionare l’attività artigianale che portava avanti da 27 anni, per intraprendere un nuovo percorso dedicandosi a una ricerca propriamente artistica.
Da questa nuova fase nasce Tout ce qu’il faut, una mostra molto diversa dalla precedente in cui regnavano ironia e leggerezza. Questa volta oggetto della sua indagine è l’oggi, valutato però da una prospettiva molto ampia, quella dell’immensità dell’universo. L’artista racconta infatti solo quello che ritiene essenziale dell’esistere, di oggi come di qualsiasi altra epoca, ciò che occorre e che basterebbe. L’immensità e la casualità dell’universo fanno inevitabilmente ridimensionare le preoccupazioni quotidiane per focalizzarsi su “tout ce qu’il faut”, che Lorenza Mignoli individua nell’accoglienza, intesa in senso lato.
Il medium ideale per descrivere i movimenti dell’universo è la tecnica raku che, come ci racconta l’artista nell’intervista a seguire, implica di per sé una disposizione ad accogliere il risultato, senza poter avere precise aspettative al riguardo.

ORARI DI APERTURA:
Sala Rosa palazzo Medosi-Fracassati via Marconi
Inaugurazione sabato 2 aprile ore 17,00
aperto sabato e domenica dal 3 al 10 aprile
ore 10,00-13,00 e 15,00-19,00


Qual è il tema di questa mostra?
L’idea è stata quella di calarmi nel mio presente e vedere cosa ho da dire al riguardo. In questo momento ho una sensazione talmente grande dell’immensità dell’universo e del carattere insignificante dei problemi quotidiani in questa ampia prospettiva, che parlare dei problemi dell’oggi mi sembrava una cosa estremamente limitata e limitante. Da qualche anno io cerco di guardare le cose da lontano, quindi di non considerare i problemi di oggi come una cosa significativa, ma solo un accidente momentaneo. La mia idea è stata quindi cercare di rappresentare l’immensità dell’universo e cercare di capire qual è per me, per la mia sensibilità, l’unico significante veramente degno di questo nome, l’unica cosa che ha senso, l’unica che secondo me può veramente cambiare il mondo: ed è l’accoglienza in senso lato. “Fare stare bene” e “stare bene” può mettere tutti nella condizione d’animo di imprimere la propria infinitesima svolta positiva al mondo.

E cosa significa il titolo della mostra, “Tout ce qu’il faut”?
Beh, intanto la lingua francese è molto importante per me e non a caso è quella del Piccolo Principe, che compare anche nella mia mostra precedente e che per me è il libro della vita. Questo libro ha a che vedere proprio con il tema della mia stessa mostra. L’espressione “Tout ce qu’il faut” in italiano non esiste in una forma così delicatamente sonora e concisa, significa “tutto ciò che occorre”, ma preferirei tradurre “non serve altro”, ed è il titolo dell’unica opera esplicita che c’è.

Per le opere in mostra hai usato la tecnica raku, perché questa scelta?
La sensazione che ho in questo momento è quella della casualità del movimento e del procedere dell’universo in espansione. La scelta di usare esclusivamente la tecnica Raku in questa mostra è legata alla necessità di imprimere alle opere stesse quel senso sia di casualità sia di rimescolamento degli elementi, perché la cottura raku è come un’esplosione vulcanica, cioè un sommovimento di elementi di cui non possiamo sapere l’esito. E questo, secondo me, ha un senso che si può avvicinare molto bene al movimento dell’universo: esplosioni e cambiamenti che vanno accettati e sono belli per quello, unici e casuali. Un movimento dominante nelle opere della mostra è quello della spirale, che anticipa l’abbraccio dell’accoglienza.
Le opere di ceramica proseguono sul legno, che non è semplicemente un supporto o una cornice: lì continua ad espandersi quello che è il motivo della ceramica, un po’ come se si illuminasse solo una porzione, ma l’universo continua oltre.

Ci spiegheresti il modo di lavorare raku, che è molto diverso da quelli tradizionali della nostra cultura?
Il raku si ricollega alla filosofia zen ed è una tecnica in cui c’è un capovolgimento della prospettiva rispetto all’abituale modo di lavorare. Non c’è differenza nella cura con la quale si procede alla realizzazione del pezzo ceramico, ma bisogna completamente spogliarsi dell’idea di avere degli obiettivi perché nel raku si lavora in un certo modo non per ottenere un determinato effetto, ma per il piacere di lavorare in quel modo. La cottura raku è una cottura in cui una reazione chimica produce effetti assolutamente imponderabili, per cui la prospettiva va capovolta: non bisogna darsi degli obiettivi, ma semplicemente disporsi ad attendere un risultato. E per la filosofia zen questo risultato è comunque bello per la sua casualità e irrepetibilità. Io sono dell’idea che se noi riuscissimo ad applicare alla nostra esistenza questa modalità di procedere saremmo molto più sereni.

Ludovica Piazzi

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